La sicurezza al centro della strada: l’appello della Fondazione Scarponi

Il lento ritorno alla normalità, con la Fase 2 cominciata il 4 maggio scorso, sta cominciando a ripopolare le strade ma abbiamo bisogno di un nuovo tipo di viabilità, una “nuova normalità” dove al centro sia messa la persona, la sua incolumità e il suo diritto a muoversi e usufruire in sicurezza degli spazi urbani.

Abbiamo bisogno di strade più sicure e, per averle, è necessario che la velocità dei mezzi a motore possa essere adeguatamente monitorata e sanzionata: anche e soprattutto in ambito urbano, in prossimità delle scuole e degli ospedali, nei quartieri residenziali e in tutte le situazioni in cui le intersezioni con la viabilità principale possono costituire un pericolo per gli utenti più fragili, non solo pedoni e ciclisti ma anche bambini, anziani e disabili.

Il vero banco di prova per la mobilità sarà a settembre, quando riapriranno le scuole e la maggior parte delle attività economiche: ma bisogna arrivarci preparati, perché con l’accesso contingentato ai mezzi pubblici e un aumento del traffico motorizzato le strade potrebbero diventare meno sicure per chi si sposta a piedi e in bicicletta o con i mezzi della micromobilità elettrica.

Per questo, come Fondazione Michele Scarponi attiva nella sicurezza stradale, abbiamo sottoscritto una lettera aperta indirizzata alla Ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli e alla Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per chiedere che anche nelle strade urbane possa essere effettuato il controllo a distanza del rispetto dei limiti di velocità, cosa oggi impossibile vista la normativa vigente.

Il documento è stato redatto da un qualificato gruppo di esperti – architetti, urbanisti, tecnici, rappresentanti delle forze dell’ordine – che studiano il tema e considerano la sicurezza stradale come il principio-cardine su cui costruire la convivenza pacifica sulle strade, a cominciare dal rispetto dei limiti di velocità e per avere città a misura di persona.

L’APPELLO

Signora Ministra dei Trasporti, Signora Ministra dell’Interno,

come certamente saprete, la normativa italiana sull’uso dei dispositivi di controllo a distanza della velocità dei veicoli, e in particolare delle postazioni fisse senza la presenza degli operatori di polizia e senza l’obbligo della contestazione immediata, pone forti limiti al loro impiego.
Secondo l’attuale normativa infatti (L.121/2002) la loro installazione è consentita sulle autostrade e strade extraurbane principali e può essere ammessa, dietro autorizzazione prefettizia, sulle strade extraurbane secondarie e sulle strade urbane di scorrimento solo in presenza di condizioni ‘tassative’ che certifichino l’impossibilità di fermare il contravventore in condizioni di sicurezza, mentre non può mai essere prevista sulle ‘normali’ strade urbane, dove tuttavia ‘normalmente’ si registra la metà dei morti in incidenti stradali.

Una Direttiva del Ministero dell’Interno (prot. n. 300/A/5620/17/144/5/20/3) precisa al proposito che “… non possono essere prese in considerazione situazioni ambientali diverse o altre esigenze, pur astrattamente rilevanti ai fini di dimostrare l’impossibilità di fermare i veicoli.” Non rientra quindi tra le condizioni che rendono impossibile l’arresto immediato del veicolo quello in assoluto più ovvio e rilevante, quello cioè della strutturale sproporzione tra numero di veicoli in circolazione e forze impiegabili per svolgere i necessari controlli.

Anche in altri punti la normativa rende evidente la volontà di limitare al massimo l’ambito d’impiego del sanzionamento automatico, a esempio laddove senza alcuna motivazione tecnicamente plausibile prevede il rispetto della distanza minima di un chilometro tra il punto di controllo e il segnale di limite di velocità, ovvero da qualunque intersezione o immissione intermedia che ne richieda la ripetizione (per rallentare da 90 a 50 km/h solo staccando l’acceleratore bastano 270 metri).

Si aggiunge a tutto questo una bozza di nuovo decreto predisposta dal MIT che, anziché dare ascolto a quanto da tempo con insistenza richiesto da molti amministratori locali, è destinata a irrigidire ulteriormente le già restrittive regole vigenti e ad allontanarci ulteriormente da quanto positivamente sperimentato in altri paesi europei (sono 28.9 i morti sulle strade urbane italiane per milione di abitanti, contro i 5.3 della Norvegia, i 10.9 della Gran Bretagna, i 15.7 della Germania).

Ricordando che quasi un terzo delle vittime è rappresentata da ciclisti e pedoni, risulta evidente la necessità di modificare in senso diametralmente opposto l’attuale normativa, al fine di rendere possibile l’installazione – certo, motivata e controllata – di questi strumenti dove più sono necessari, a iniziare dai luoghi sensibili della viabilità urbana e dai punti di maggiore incidentalità.

Non farlo significa essere oggettivamente corresponsabili, senza alcuna spiegazione o giustificazione possibile, di molte delle migliaia di morti che ogni anno si contano sulle nostre strade.
Tra quei morti, quasi 200 sono bambini o adolescenti: fatelo per il loro e nostro futuro, voi che avete questa responsabilità.

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